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La RPA e cultura tecnologica italiana

RPA e cultura tecnologica

Se da un lato l’A.I. e la Robotic Process Automation proseguono in un connubio sempre migliore, destinato a pervadere ogni settore con processi automatici intelligenti, dall’altro lato le PMI italiane non le considerano, rischiando di pagare cara questa mancanza di cultura tecnologica.

L’intelligenza Artificiale nei programmi di sviluppo

Il Mise mette in agenda per il piano di implementazione produttiva del Paese l’Intelligenza Artificiale (I.A), pubblicando a fine gennaio il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale (I.A.) 2022-2021, in cui dichiara non solo quanto i sistemi di digitali siano maturi nella capacità di apprendimento e ragionamento, ma anche la loro centralità nella società e nelle attività economiche di settori trainanti. In questi settori produttivi si intende implementare tecnologie informatiche nel presente e nei prossimi anni.

Questa realtà esiste già nelle nostre quotidianità, sotto forma di chatbot con cui comunichiamo, avatar che interagiscono su portali online e assistenti virtuali domestici che rispondono alle nostre richieste.


Questi modelli digitali stanno ottimizzando le loro capacità di giorno in giorno, l’aumentare della complessità non corrisponde una minor adattabilità con apparecchi che li precedono, anzi, nel loro perfezionamento è inclusa una compatibilità con i software già esistenti che li rende assai vantaggiosi, non solo nelle attività domestiche ma anche in quelle lavorative.

Automazione: un giro d’affari miliardario

L’applicazione immediata di queste tecnologie agli ambiti lavorativi ce la offrono i terminali “intelligenti” che sostituiscono le casse e i cassieri negli istituti bancari, o nelle biblioteche. Tutti i compiti ripetitivi che richiedono un livello basso di complessità saranno via via sostituiti da macchine automatizzate.
Questo permette non solo un abbattimento dei costi, ma un vantaggio competitivo in settori industriali e produttivi.
Come riporta il rapporto Garter, nel 2021 si stima che la vendita di sistemi RPA (Robotic Process Automation) abbia generato un giro d’affari attorno all’1,9 miliardi di dollari e che sia destinato ad aumentare, fino a raggiungere nel 2030 i 13 miliardi di dollari.

Pandemia e sviluppo della RPA

Di certo un forte spinta propulsiva è arrivata da questi due anni di pandemia, che, imponendo il lavoro da remoto alla maggior parte della popolazione, hanno contribuito notevolmente all’evoluzione dei sistemi automatizzati, sia in termini di efficienza sia in termini di complessità e grado di apprendimento.
La presenza di A.I nelle aziende oggi non riguarda più solo grandi colossi come Fiat, Finmeccanica o Eni, già approdati già a fine anni ’90 a soluzioni automatizzate per le loro attività a causa di inderogabili necessità. All’epoca i software di automazione avevano costi elevatissimi e imponevano infrastrutture massicce.
Oggi gli applicativi sono diventati abbordabili anche per le piccole imprese, hanno infatti costi molto ridotti e sono ospitati online, sono servizi offerti in cloud.
L’evoluzione di software e modelli A.I. li ha resi così adattabili, con boxset preimpostati per necessità specifiche, al punto  che permettono alle imprese di non dover investire in progetti custom, costosi e dalle tempistiche più lunghe.
Gli applicativi di ultima generazione possono gestire acquisti, vendite, contabilità, fornitori etc. Potrebbero essere applicati in ogni sfera commerciale, produttiva, progettuale.

Nonostante l’altro livello di prestazioni e di adattabilità queste soluzioni informatiche restano relegate per lo più alle stesse aziende di alcuni decenni fa, ovvero quelle dai fatturati sostanziosi a da un numero notevole di dipendenti.
Sebbene l’ecosistema IA italiano, caratterizzato da gruppi di ricerca molto attivi, possieda un potenziale importante ancora non viene pienamente sfruttato. Se da un lato le comunità di ricerca sono attive, dall’altro le aziende italiane non investono sull’A.I e nelle sue applicazioni.

RPA e il problema della cultura tecnologica

A cosa è dovuta questa difficoltà dell’A.I. a permeare settori economici differenti?
Parte dell’ostacolo risiede nella cultura del lavoro, ancora non matura sui temi dello sviluppo digitale né della robotica automatizzata.
Si guarda ancora con scetticismo alla RPA, permangono dubbi verso la trasparenza nella modalità di gestione delle procedure automatizzate, si teme di esporsi nell’affidarsi a sistemi automatizzati gestiti da altri e non direttamente controllabili.
Meno si conosce dei software intelligenti meno ci si fida di questi sistemi, purtroppo queste percezioni viaggiano insieme e sono al momento più difficili da superare rispetto a costi o infrastrutture.
La mancanza di formazione su temi tecnologici, dalla conoscenza dei server alle modalità di lavoro dei software, così come carenze amministrative e finanziarie lasciano indietro pezzi del Paese.
Oggi serve con urgenza un approccio strategico per colmare queste mancanze culturali, che parta dalle scuole ed arrivi fino alle imprese. Per gli imprenditori italiani non è più sufficiente conoscere perfettamente il proprio prodotto da una prospettiva di mercato, serve uno sguardo che unisca competenze informatiche, strategia e capacità gestionali.



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